Autore: Avv. Alessandro Amato
Il patto di non concorrenza nel rapporto di lavoro subordinato è disciplinato dall’art. 2125 c.c.:
“Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata.”
Si tratta di un accordo con cui il datore di lavoro si impegna a corrispondere al lavoratore una somma di denaro a fronte dell’impegno a non svolgere attività concorrenziale per un certo periodo successivo alla cessazione del rapporto contrattuale: “La legittimità del patto di non concorrenza passa attraverso la valutazione del bilanciamento tra gli opposti interessi che vengono in rilievo: da un lato quello del datore di lavoro, che mira a tutelarsi contro potenziali azioni concorrenziali dell'ex dipendente che approfitti delle esperienze e competenze professionali acquisite durante il precedente impiego; dall'altro lato va tenuta in considerazione l'esigenza del lavoratore di conservare una libertà sufficiente a reperire una nuova occupazione e di ricevere un corrispettivo adeguato al sacrificio che gli viene richiesto. Quindi il pnc non preclude al dipendente lo svolgimento di un'attività riconducibile all'esperienza ed alla professionalità acquisita ed al contempo evita che il datore di lavoro sia costretto a subire comportamenti scorretti dell'ex dipendente quali la diffusione di informazioni e conoscenze attinenti ai propri prodotti” (Tribunale Monza sez. lav., 10/12/2021, n. 637).
La validità del patto di non concorrenza è subordinata al rispetto di alcuni limiti al fine di tutelare le opportunità di occupazione del lavoratore in seguito alla cessazione del rapporto:
- forma scritta: l’accordo deve avere forma scritta, può essere contenuto nello stesso contratto di assunzione oppure in una scrittura separata. Un patto in forma verbale sarebbe nullo;
- definizione dell’oggetto: il patto può riguardare qualunque tipo di attività (autonoma o subordinata) che possa danneggiare l’azienda e può estendersi a qualsiasi attività in concorrenza con quella del datore di lavoro. Il patto di non concorrenza non può comunque impedire o rendere oltremodo complicato al lavoratore lo svolgimento di un’attività conforme alla propria qualificazione professionale. È quindi da considerarsi nullo il patto di non concorrenza che impone al lavoratore restrizioni tali da impedirgli di poter lavorare in futuro;
- durata predefinita: il patto non può avere durata superiore a 5 anni per i dirigenti e 3 anni per gli altri lavoratori subordinati;
- individuazione di un ambito territoriale di operatività: nell’accordo deve essere individuata un’area geografica. La congruità dell’estensione geografica deve valutarsi unitamente all’oggetto ed al compenso riconosciuto al lavoratore;
- determinazione di un corrispettivo: il patto deve sempre essere retribuito con un corrispettivo congruo per il lavoratore. La misura e le modalità di pagamento sono rimessi all’autonomia delle parti. Il corrispettivo non può comunque essere simbolico o sproporzionato in rapporto al sacrificio imposto al lavoratore, alla sua retribuzione, al livello professionale raggiunto ed ai minori guadagni che potranno essere realizzati.
Qualora uno di tali limiti non dovesse essere rispettato e dunque il patto di non concorrenza venisse dichiarato nullo, il lavoratore non sarà vincolato al suo rispetto.
Di recente è stato precisato che: “Il patto di non concorrenza previsto dall'art. 2125 c.c non deve necessariamente limitarsi alle mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto, ma può riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa competere con le attività economiche svolte dal datore di lavoro. Il patto di non concorrenza in ogni caso non deve essere di ampiezza tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale. Inoltre, fondamentale per la validità di tale patto, è che sia previsto un compenso adeguato e proporzionato in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno” (Tribunale Firenze sez. lav., 14/04/2022, n. 264).
L’istituto del patto di non concorrenza ha determinato un variegato contenzioso soprattutto in riferimento all’interpretazione dei requisiti di legittimità: “Il patto di non concorrenza ha un'autonoma rilevanza causale rispetto all'accordo in cui è contenuto, rappresentando un peculiare limite alla concorrenza specifico dei lavoratori subordinati e volto, da un lato, ad evitare che il patrimonio immateriale di un'impresa possa essere messo a disposizione di imprese concorrenti e, dall'altro, a non pregiudicare eccessivamente la posizione del lavoratore ai fini di un suo reinserimento nel mercato del lavoro. Da questo punto di vista, il corrispettivo pattuito dovrà rispettare i requisiti fissati all'art. 1346 c.c. in materia di oggetto del contratto e la libertà del lavoratore di collocare le proprie prestazioni professionali sul mercato non potrà essere compressa al punto da comprimere eccessivamente la sua libertà di collocare le proprie prestazioni professionali in qualsiasi settore del mercato e della produzione, con conseguente compromissione delle potenzialità reddituali” (Tribunale Siena sez. lav., 01/04/2022, n.35).
Un patto non può essere giudicato nullo per indeterminatezza del corrispettivo in ragione della assenza di un importo minimo garantito in caso di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro. È quanto ha stabilito l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 5540 dell’1/03/2021, in riforma della decisione resa dalla Corte di Appello di Milano che aveva dichiarato la nullità del patto per indeterminatezza del compenso ricevuto alla cessazione del rapporto.
In particolare, il patto di non concorrenza oggetto del caso stabiliva un corrispettivo complessivo ed un corrispettivo annuo, con la previsione che, in caso di cessazione anticipata, non sarebbe spettato al lavoratore l'intero compenso, ma solo quanto maturato in proporzione alla durata del rapporto. La Corte di merito aveva giudicato nullo il patto, poiché la mancata predeterminazione del corrispettivo lo rendeva contraddittorio.
La Suprema Corte ha chiarito che il patto di non concorrenza configura un contratto autonomo anche se stipulato contestualmente al contratto di lavoro e, pertanto, il corrispettivo stabilito, distinto rispetto alla retribuzione, deve possedere i requisiti di determinatezza o determinabilità dell'oggetto a norma dell'art. 1346 c.c.. Diversa questione è la nullità del patto per mancanza di un corrispettivo.
La Corte ha quindi affermato la necessità di una severa valutazione della congruità del corrispettivo: solo un compenso che sia simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato rispetto al sacrificio del lavoratore può comportare la nullità del patto a norma dell'art. 2125 c.c. Il piano della nullità per indeterminabilità del corrispettivo ai sensi dell'art. 1346 c.c. e la nullità per incongruità ai sensi dell'art. 2125 c.c. devono essere tenuti nettamente distinti.
Innanzitutto occorre valutare il profilo della determinabilità e in secondo luogo procedere a verificare che il compenso, così come determinato o determinabile, non sia simbolico, manifestamente iniquo o sproporzionato.
Prevedere un compenso variabile in relazione alla durata del rapporto di lavoro non significa che lo stesso non sia determinabile in base a parametri oggettivi, considerato che si ha determinabilità anche quando vengono indicati, anche con un rinvio a fonti esterne, i criteri in base ai quali è definibile la prestazione.
In conclusione, un patto che preveda un corrispettivo in relazione alla durata del rapporto e che, sebbene privo di un minimo garantito, stabilisca il criterio per la determinazione del corrispettivo, non è necessariamente nullo (“La naturale onerosità del patto di non concorrenza non è inderogabile in quanto il legislatore non ha stabilito - in caso contrario - la sanzione della nullità espressa come diretta a tutelare un interesse pubblico generale; ne consegue che la mancata previsione di un corrispettivo non rende nullo il patto né consente la sostituzione della lacuna con la disciplina legale”, Corte appello Venezia sez. lav., 22/02/2022, n. 26).