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Notifiche a mezzo PEC nel PCT dopo la Riforma Cartabia: novità e regole

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Sono state rilevate le seguenti anomalie:

La Legge 53/1994, così come novellata a partire dalla Legge 183/2011 e dalle successive disposizioni modificative ed integrative, attualmente consente agli avvocati di effettuare notifiche avvalendosi della posta elettronica certificata.

Tale modalità, rientrante tra le modalità di notifiche ‘in proprio', che possono cioè essere disposte personalmente dal difensore, senza necessità di ricorrere all'Ufficiale Giudiziario, costituisce una parte rilevante del cd. movimento di digitalizzazione del processo, che intende introdurre ed adoperare gli strumenti informatici al fine di efficientare l'amministrazione della giustizia, pur nel rispetto delle consuete regole processuali.

Se quindi, da un lato, l'adozione delle nuove tecnologie dev'essere assunta conformemente ai principi regolatori del processo, dall'altro è parallelamente sorta l'esigenza di implementare alcune normative di carattere speciale in grado di armonizzare la previgente disciplina, con gli inevitabili confronti ermeneutici in corso di dibattito presso le corti di merito e di legittimità.

Sommario:

Da ultimo, le innovazioni introdotte dal D.Lgs. 149/2022 non hanno solamente riguardato l'ambito strettamente processuale del diritto civile, ma si sono altresì amplificate in tutte quelle attività che, come le notifiche a mezzo posta elettronica certificata, sono abitualmente compiute dai difensori nell'esercizio delle proprie prerogative professionali.

A seguito, infatti, dell'entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia, la posta elettronica certificata è divenuta la modalità ‘principe' attraverso cui notificare gli atti processuali di parte, a scapito di quelle cartacee usualmente condotte dagli ufficiali giudiziari.
Di conseguenza la riforma ha formalizzato la possibilità, già offerta dall'art. 3-bis della Legge 53/1994, delle notifiche telematiche di atti civili, amministrativi e stragiudiziali effettuabili in proprio dagli Avvocati difensori, riservando la consegna degli atti all'UNEP nei soli casi in cui i primi non siano legalmente tenuti a procedervi personalmente, ovvero che non abbiano potuto procedere diversamente.

In tali ipotesi, occorre che il difensore corredi la relazione di notifica con un'apposita dichiarazione formale, tramite la quale dovrà attestare:
  • se la notifica riguarda un procedimento già pendente al 28 febbraio 2023, per i quali la riforma risulta quindi inapplicabile ratione temporis;
  • se il destinatario non possieda un proprio domicilio digitale ai sensi del C.A.D. (Codice dell'Amministrazione Digitale, contenuto nel D.Lgs. 82/2005), ovvero un indirizzo di posta elettronica certificata rinvenibile nei pubblici registri, sia in assolvimento di un obbligo di Legge, sia per sua spontanea elezione;
  • se la tentata notifica a mezzo PEC sia esitata negativamente per causa non imputabile al destinatario.
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La ratio di tale dichiarazione, resa ai sensi dell'art. 137, co. 7 cpc., è quella di permettere all'ufficiale giudiziario ricevente la notifica cartacea, di accertare l'effettiva sussistenza dei presupposti per l'accoglimento di tale richiesta.

Qualora invece la tentata notifica a mezzo PEC sia esitata negativamente per causa imputabile al destinatario legalmente obbligato al proprio domicilio digitale o che aveva comunque eletto un proprio domicilio digitale, pur non essendovi tenuto per Legge, essa dovrà essere eseguita, a cura del notificante, mediante inserimento dell'atto nel portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della giustizia, unitamente ad una dichiarazione sulla sussistenza dei presupposti per l'inserimento, all'interno di un'area riservata collegata al codice fiscale del destinatario, generata dal portale ed accessibile al destinatario (la c.d. area web notifiche del Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia - PST).

La notificazione si ha per eseguita, per il destinatario, nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l'inserimento o, se anteriore, nella data in cui egli accede all'area riservata.

A seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 164/2024, la cd. Correttivo Cartabia, e del relativo intervento sui sistemi ministeriali, dal 26 novembre 2024 è stata quindi attivata sul PST l’area web per il deposito delle notifiche non andate a buon fine per causa imputabile al destinatario. Si riportano gli schemi riassuntivi delle casistiche relative al combinato disposto ex artt. 137, co.7, cpc e 3-bis, co.2-3, L.53/1994 elaborate dalla FIIF.

Si ricorda che la mancata notifica per causa imputabile al destinatario si verifica quando un atto o documento notificato attraverso PEC non viene recapitato o non raggiunge il destinatario per ragioni riconducibili direttamente al comportamento, all'omissione o alla condotta del destinatario stesso, come solitamente desumibile dal testo contenuto nel messaggio di AVVISO DI MANCATA CONSEGNA che il notificante riceverà sulla propria casella di posta elettronica certificata.

Si riporta di seguito un breve e non sicuramente esaustivo elenco delle principali cause di omessa notifica imputabile al destinatario di un messaggio di posta elettronica certificata:
  • casella PEC non attiva o disabilitata: il destinatario non ha mai attivato la propria casella PEC, oppure la casella è stata sospesa o disabilitata per motivi tecnici o amministrativi (ad esempio, mancato pagamento del servizio);
  • casella PEC piena: la casella PEC del destinatario ha raggiunto la capacità massima di ricezione, impedendo l'inoltro del messaggio contenente la notifica;
  • errata gestione dell'indirizzo PEC: l'indirizzo PEC comunicato dal destinatario non è corretto, aggiornato o conforme a quello risultante dai pubblici elenchi;
  • problemi di configurazione o uso improprio: il destinatario non ha configurato correttamente la propria casella PEC o ha impostazioni che ne impediscono il funzionamento regolare.

Come poc'anzi accennato, l'art. 3-bis della Legge 53/1994 prevede che la notifica con modalità telematiche possa essere eseguita utilizzando esclusivamente un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici registri, e ciò tanto per quanto riguarda il mittente, che i destinatari di tale notifica. Tali pubblici registri sono quelli indicati dall'art. 16-ter della Legge 221/2012, ovvero quella di conversione del cd. ‘Decreto Crescita 2.0'.

Non tutti i registri autorizzati sono però totalmente sovrapponibili, ma occorre invece prestare la dovuta attenzione a quale consultare, soprattutto con riferimento alla natura del soggetto destinatario della notifica.

Quali differenze tra ReGIndE ed INI-PEC?

Nella pratica, gli elenchi PEC più comunemente utilizzati sono il ReGIndE e l'INI-PEC.

Il primo è il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici, gestito direttamente dal Ministero della Giustizia, ove sono contenuti i dati dei soli cd. ‘soggetti abilitati esterni', ovverosia tutti coloro a cui, in virtù del proprio titolo o qualifica di rango non ministeriale, è consentito interagire con un ufficio giudiziario nell'ambito del processo civile telematico (ad es. avvocati, curatori e consulenti tecnici).

Il secondo è invece l'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata, gestito dal Ministero per lo Sviluppo Economico e riconosciuto dal predetto Codice dell'Amministrazione Digitale per consolidare i riferimenti di tutti i soggetti all'obbligo legale di domicilio digitale, a loro volta suddivisi fra Imprese e Professionisti.

Quest'ultimo, peraltro liberamente accessibile senz'alcuna autenticazione, si rivela quindi preferibile per ricercare correttamente la casella PEC dei privati iscritti al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio o in tutti gli albi professionali, dagli agenti di cambio ai veterinari.

PEC relative a soggetti pubblici: Registro PP.AA. ed I.P.A.

Quanto agli indirizzi facenti capo ad enti pubblici, l'elenco d'elezione è costituito dal Registro degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata delle Amministrazioni Pubbliche, sancito ai sensi dell'art. 16, co. 12 del D.L. 179/2012 ed anch'esso gestito dal Ministero della Giustizia nell'ambito del Portale dei Servizi Telematici.

La consultazione di tale banca dati è riservata ai soli detentori dei certificati muniti di apposito token crittografico per l'accesso ai servizi giudiziari, quali avvocati ed ufficiali giudiziari.

Essendo il Registro PP.AA. ancora in fase di completamento, in via residuale l'art. 28 del D.L. 76/2020 permette l'utilizzo degli indirizzi presenti nell'Indice delle Pubbliche Amministrazioni (I.P.A.) ogniqualvolta il corrispondente campo nel PP.AA. non sia già stato popolato. In questo caso, il mittente dovrà però aver cura di corredare la relata di notifica dalla specifica che l'indirizzo PEC del destinatario sia stato estratto da I.P.A. perchè non presente nel Registro PP.AA.

I domicili digitali volontari: le PEC censite nell'INAD

Pur anch'esso previsto dal Codice dell'Amministrazione Digitale, solo di recente l'Indice Nazionale dei Domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese è stato formalmente pubblicato, e ad oggi è già in grado di ricevere gli indirizzi PEC che qualsiasi cittadino può indicare come proprio domicilio digitale, dove poter altresì ricevere tutte le comunicazioni da parte della Pubblica Amministrazione.

Benchè l'adesione a tale registro sia su base del tutto volontaria, in ragione della Riforma Cartabia essa comporta la necessità di prediligere l'indirizzo PEC censito nel registro INAD per destinarvi qualsivoglia notifica giudiziale, la quale, pertanto, dovrà effettuarsi con modalità telematiche.

Il cd. correttivo Cartabia ha altresì recentemente previsto l’obbligo generalizzato d’indicare negli atti introduttivi del processo non solo il proprio indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi, ma anche il proprio domicilio digitale speciale, eletto cioé ai sensi degli artt. 3-bis, co. 4-quinquies del C.A.D. “per determinati atti, procedimenti o affari. In tal caso, ferma restando la validità ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale, colui che lo ha eletto non può opporre eccezioni relative alla forma e alla data della spedizione e del ricevimento delle comunicazioni o notificazioni ivi indirizzate”. Esso, a tutti gli effetti, costituisce un domicilio speciale ex art. 47 del Codice Civile, diverso da quello generale di cui all’art. 3-bis, comma 1-ter del C.A.D.

Quale dei pubblici registri PEC è migliore?

In considerazione di quanto sopra accennato, la risposta a questa domanda rimane, come nella migliore tradizione legale… dipende! Non esiste una banca dati onnicomprensiva di tutti gli indirizzi di posta elettronica certificata cui validamente inviare una notifica telematica, ma occorre invece selezionare quella (o quelle) in cui ricercare lo specifico soggetto destinatario, a seconda della sua appartenenza alle diverse categorie in cui sono tutt'ora suddivisi i suddetti pubblici registri.

Occorre infatti tenere bene a mente che la notifica PEC effettuata verso un indirizzo ‘erroneo', perchè non appartenente alla banca dati preferenziale per quel determinato destinatario, può comportare un vizio insanabile, tale da impedire il perfezionamento della notifica stessa.

È valida la notifica ad un indirizzo PEC non presente nei pubblici registri?

Pare opportuno ricordare come l'attuale assetto normativo delle notifiche a mezzo PEC, per quanto risulti a prima vista irrigidito dai requisiti procedurali richiesti ai fini della loro validità, incontri l'importante ‘clausola di salvaguardia' rappresentata dall'art. 156 cpc.

Tale norma di carattere generale impone il divieto di comminare nullità formali agli atti del processo qualora questi abbiano comunque raggiunto lo scopo cui sono stati destinati.

Ne consegue, quindi, che la notifica irrituale di un atto a mezzo posta elettronica certificata non possa comportarne la nullità ogniqualvolta la consegna dello stesso abbia comunque conseguito il risultato della sua conoscenza, e determinato così il raggiungimento dello scopo legale.

È quanto recentemente statuito dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha mantenuto valida una notifica a mezzo PEC proveniente da un indirizzo mittente non incluso nei pubblici elenchi, posto che il suo autore sia chiaramente riconoscibile, ed il destinatario non abbia per ciò subito un’effettiva lesione al proprio diritto di difesa.

Vi è però una ristretta cerchia di casi in cui i vizi della notifica sono talmente gravi da impedirne il perfezionamento, determinandone addirittura l'inesistenza stessa.

Una recente serie di pronunce giurisprudenziali ha considerato tale il mancato inserimento dell'indirizzo di posta elettronica certificata del mittente nei pubblici registri, in violazione del combinato disposto degli artt. 3-bis, co. 1 L. 53/1994 e 16-ter D.L. 179/2012.

Con ordinanza del 3 novembre 2022, il Tribunale di Lodi ha infatti sospeso l'esecutività dell'intimazione di pagamento inviata al contribuente da un indirizzo non ufficialmente riferibile all'Agenzia Entrate - Riscossione.

Con sentenza di analogo tenore del 30 dicembre 2022, la Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Lazio ha precisato che tale vizio è da considerarsi insanabile proprio perchè incide sulla certezza della provenienza del messaggio allo specifico soggetto. Infatti, non essendo presente nelle banche dati pubbliche l'indirizzo di spedizione, risulta oggettivamente impossibile correlarlo al supposto mittente, esponendo invece il destinatario ad inopportuni rischi di sicurezza informatica qualora intendesse aprire il messaggio di provenienza ignota.

Con la sentenza n. 287 del 9 gennaio 2019, la Cassazione ha confermato la pronuncia di secondo grado che aveva ritenuto nulla la notifica telematica dell'appello effettuata all'Avvocatura dello Stato ad un indirizzo pec pertinente alla corrispondenza istituzionale, ma diverso da quello previsto per il processo telematico e quindi non presente nel RegIndE.

La nullità non era stata sanata dal raggiungimento dello scopo in quanto il Ministero dell'Interno non si era costituito e correttamente non era stato assegnato un ulteriore termine per la notifica: la deroga al principio generale di improrogabilità dei termini perentori di cui all'art. 153 c.p.c. è, infatti, possibile solo a condizione che l'esito negativo del procedimento notificatorio sia dipeso da un fatto oggettivo ed incolpevole del quale la parte deve offrire puntuale e rigorosa dimostrazione, mentre nella fattispecie la parte ricorrente non aveva dedotto sul punto alcuna giustificazione.

Secondo la Corte Suprema, la circostanza meramente allegata che in altri processi l'Avvocatura si era regolarmente costituita, nonostante la notifica fosse stata effettuata al medesimo indirizzo telematico non presente in RegIndE, non appare in effetti integrare detto errore incolpevole e giustificabile, in difetto del quale, pertanto, non può essere invocata la rimessione in termini e la conseguente fissazione di un nuovo termine per la rinnovazione della notifica rispetto a quello perentorio inutilmente scaduto.Fine modulo

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Dall'introduzione nel nostro ordinamento delle anzidette riforme digitali, si susseguono ormai a ritmo incalzante pronunce giurisprudenziali chiamate sia a risolvere problematiche di natura eminentemente pratica, seppur con inevitabili riflessi di natura processuale, sia a definire meglio la portata e l'estensione dei relativi adempimenti spettanti agli attori del processo.

Ad oggi l'interprete può quindi contare su una vasta e disparata casistica che affrontano le vicende patologiche delle notifiche a mezzo PEC ed il loro impatto sui procedimenti giudiziari.

Se l'indirizzo PEC del destinatario non è attivo

Con la sentenza n. 631 del 1° marzo 2022, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito la legittimità della procedura di notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del Decreto di fissazione dell'udienza prefallimentare previsto dall'art. 15, co. 3 L.F., convertito, con modificazioni, dalla L. 221/2012, a mente del quale quando, per qualsiasi ragione, la notifica all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal Registro delle Imprese, ovvero dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata delle imprese e dei professionisti, non risulti possibile o non dia esito positivo, “la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del Decreto si esegue esclusivamente di persona a norma dell'articolo 107, primo comma, del Decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229, presso la sede risultante dal registro delle imprese”.

Nel caso specifico, la creditrice istante aveva tentato di notificare gli atti in questione all'indirizzo PEC della fallenda, ma, stante l'esito non positivo, aveva provveduto a richiedere la notifica presso la sede legale della società, coincidente con l'indirizzo di uno Studio di Commercialisti e perfezionatasi in virtù del recapito del plico ad una loro impiegata, la quale, come specificato dalla relata, ne avrebbe curato la consegna.

Nel respingere le doglianze mosse dalla ricorrente fallita, gli Ermellini hanno precisato che la summenzionata disposizione costituisce norma speciale propria del procedimento prefallimentare, e condiviso la totale irrilevanza, già espressa dalla Corte distrettuale, del fatto che la sede legale della società fosse presso uno Studio di Commercialisti, che la circostanza fosse nota alla creditrice istante e che l'amministratore unico della società destinataria fosse invece reperibile alla sua residenza.

Se la casella PEC del destinatario è piena

Con la sentenza emessa in data 9 aprile 2022, l'Ottava Sezione della Commissione Tributaria Regionale di Bologna ha chiarito gli obblighi di comunicazione posti a carico dell'ente di riscossione dagli artt. 60, co. 6 D.P.R. 602/1973 e 26, co. 2 D.P.R. 600/1973, in tema di notifica di una cartella di pagamento a mezzo di posta elettronica certificata.

A fronte dell'eccezione d'inesistenza della notifica dell'atto impugnato, sollevata dal contribuente per averne avuta contezza solamente a seguito di consultazione del relativo estratto di ruolo, l'Amministrazione ha infatti rappresentato come tale cartella fosse stata inizialmente notificata telematicamente all'indirizzo risultante dal pubblico registro INI-PEC, ma, non essendo detto indirizzo risultato valido ed attivo, aveva quindi provveduto al deposito telematico della cartella presso la Camera di Commercio, e contestuale pubblicazione sul proprio sito internet, secondo quanto previsto dalle succitate disposizioni.

Il ricorrente ha quindi contestato come l'Agenzia Entrate - Riscossione avrebbe invece dovuto provvedere ad un secondo tentativo di consegna dopo almeno sette giorni dal primo invio, in conformità a quanto disposto dall'art. 60 cit.

Tale tesi non è stata però accolta dalla Commissione proprio sulla base del tenore letterale della norma in questione, essendo la rinotifica prevista solo ed esclusivamente “se la casella di posta elettronica risulta satura”, avendo cioè esaurito il proprio limite di capienza, e non anche in caso d'invalidità e/o inattività dell'indirizzo di consegna.

La ratio della disposizione, secondo l'Autorità giudicante, è da ricercarsi nella possibilità che, nell'arco di una settimana, una casella ormai ‘piena' di messaggi possa essere ripulita, e quindi nuovamente idonea e riceverne di nuovi, mentre sarebbe illogico aspettarsi che, nel medesimo frangente temporale, un indirizzo risultato inesistente possa essere validamente costituito ed attivato negli esatti termini originari.

In quest'ultimo caso, l'ente di riscossione non può essere gravato da un'ulteriore attività di rinotifica, bastando la comunicazione di avvenuto adempimento del deposito e della pubblicazione telematici a sollevarla da ogni incombenza al riguardo.

Se il messaggio o gli allegati della notifica sono illeggibili

Il vigente Codice di Procedura Civile prescrive, all'art. 88, che “le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità”, stabilendo quindi un vero e proprio obbligo di un comportamento processuale reciprocamente corretto.

Con la sentenza n. 15001 pubblicata in data 28 maggio 2021, la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha declinato il suddetto principio in materia di notifiche a mezzo posta elettronica certificata, laddove siano stati riscontrati vizi in grado di compromettere la leggibilità del messaggio o degli allegati ricevuti.

Nel caso di specie, la ricorrente aveva resistito all'eccezione di tardività del ricorso sostenendo che la notifica della sentenza di secondo grado fosse inidonea al decorso del termine breve d'impugnazione, non avendo raggiunto il suo scopo. A tal proposito, aveva infatti evidenziato come un file .pdf allegato al relativo messaggio di posta elettronica certificata conteneva solamente pagine bianche, mentre un altro presentava solamente puntini neri.

Gli Ermellini hanno dapprima ricordato come l'attestazione di conformità acquisita nel processo provi la sussistenza della ricevuta telematica di avvenuta consegna e, pertanto, il buon esito dell'avvenuta notifica a mezzo PEC. La concreta allegazione di una qualche disfunzionalità dei sistemi informatici che potrebbe giustificare migliori verifiche in merito rimane, pertanto, un onere probatorio a carico del destinatario, in conformità coi principi già operanti in tema notificazioni secondo i sistemi tradizionali.

Qualora la parte riceva, però, un messaggio PEC i cui allegati risultino in tutto o in parte illeggibili, spetta a costei, “in un'ottica collaborativa”, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all'utilizzo dello strumento telematico.

In buona sostanza, quindi, secondo tale pronuncia, il destinatario che contesti la regolarità di una notifica telematica è tenuto ad avvisare la controparte dei problemi di leggibilità eventualmente riscontrati.

Se l'atto da notificare non è firmato digitalmente

Dal suo concepimento in seno al processo civile, l'utilizzo degli strumenti telematici per le notifiche degli atti giuridici si è via via diffuso anche nel procedimento amministrativo tributario.

Ai sensi dell'art. 60 D.P.R. 600/1973, il loro impiego risulta infatti autorizzato per gli avvisi e gli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria ed ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato, ivi inclusi le cartelle di pagamento, in virtù dell'art. 26 D.P.R. 602/1973.

Negli anni scorsi alcune Commissioni Tributarie erano giunte a ritenere invalida la cartella notificata a mezzo PEC in un formato diverso dal .p7m, cioè prive di sottoscrizione digitale CAdES, che modifica l'estensione dell'originario file .pdf.

Con l'ordinanza n. 19216 dello scorso 15 giugno, la Suprema Corte di Cassazione ha invece esteso la validità di qualsivoglia notifica effettuata a mezzo posta elettronica certificata della cartella di pagamento rappresentata da un documento informatico ivi allegato, sia quale duplicato informatico di un atto originariamente ‘nativo' digitale, sia quale copia informatica ottenuta dalla scansione per immagine di un atto originariamente analogico, redatto in forma cartacea.

Con la medesima ordinanza è stato altresì annunciato il principio di diritto che tali documenti informatici non devono essere necessariamente muniti di firma digitale, purchè il procedimento notificatorio raggiunga lo scopo prefissato di conoscibilità dell'atto da parte del soggetto destinatario.

Il giudice di ultime cure ha infatti considerato che, in tutti i casi ove l'agente della riscossione provveda ad allegare al messaggio di posta elettronica il file in formato .pdf ottenuto dalla scansione di una cartella originariamente composta su carta, l'illegittimità della notifica è da escludersi "per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico".

Se la notifica riguarda la decisione disciplinare dell'avvocato

Con una sentenza resa a Sezioni Unite (n. 20685 delli 17.07.2018), la Corte Suprema di Cassazione è tornata ad occuparsi della validità delle comunicazioni inoltrate a mezzo PEC.

Il caso specifico riguardava un procedimento disciplinare forense, ove il ricorrente aveva contestato, fra il resto, che la notifica della decisione di primo grado non fosse avvenuta a mezzo di ufficiale giudiziario, ma bensì a mezzo PEC. Siccome non era stato seguito il procedimento testualmente previsto dalla normativa di settore dall'art. 46, co. 2 R.D. 37/1934, la parte aveva quindi sostenuto l'inesistenza o la nullità della notifica stessa.

La Suprema Corte è stata quindi chiamata a verificare se la comunicazione a mezzo PEC della decisione assunta da un Consiglio dell'Ordine costituisca un valido equipollente della notifica a mezzo ufficiale giudiziario, anche ai fini del termine perentorio dell'impugnazione dell'atto notificato. Una volta chiarito che tale modalità si può eseguire anche a mezzo posta, la quale è, a sua volta, da ritenersi equivalente alla ‘trasmissione del documento informatico per via telematica', la risposta data è stata, senz'altro, di segno positivo.

I giudici hanno infatti ritenuto che il progressivo sviluppo dell'intero contesto normativo debba interagire con l'originaria previsione normativa risalente al 1934, imponendone un'interpretazione evolutiva che consenta la piena equiparazione tra le forme di notifica tradizionali e quelle possibili in virtù non solo delle nuove tecnologie, ma soprattutto delle innovazioni normative che queste valorizzano, adeguando l'ordinamento al progresso tecnico e scientifico. In tale contesto, conclude la Suprema Corte sul punto, era legittimo che chiunque, benchè fosse rimasta ancora formalmente intatta la previsione originaria che privilegiava la notifica a mezzo ufficiale giudiziario per le esigenze di certezza e genuinità degli atti da rendere noti, in relazione alle sole garanzie conosciute erogabili al tempo dell'entrata in vigore della norma, potesse attendersi l'utilizzo delle alternative validamente formate alla stregua delle novelle legislative.

Se il destinatario della notifica ha eletto domicilio in luogo fisico

Nell'ordinamento processuale italiano è prevista la regola generale secondo cui la parte assistita da un difensore elegga domicilio in un luogo fisico, che usualmente coincide con lo Studio del professionista nominato, e, a seconda del tipo di procedimento, è circoscritta al Comune in cui ha sede l'ufficio giudiziario, o comunque entro il suo ambito territoriale di competenza.

Come è noto, l'indirizzo di posta elettronica certificata prescelto da ciascun Avvocato per ricevere le comunicazioni e le notifiche previste dalla Legge corrisponde invece al proprio domicilio digitale.

Recentemente la Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sui rapporti intercorrenti tra i suddetti domicili, con particolare riferimento alla notifica di una sentenza eseguita a mezzo PEC al domicilio digitale del difensore costituito, nonostante la parte destinataria avesse comunque eletto il domicilio fisico in capo all'Avvocato stesso.

Con Ordinanza n. 39970, depositata il 14 dicembre 2021, gli Ermellini hanno statuito che il regime normativo concernente l'identificazione del domicilio digitale non ha in alcun modo soppresso la prerogativa processuale della parte d'individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notifica degli atti del processo alla stessa destinati.

In buona sostanza, le due opzioni concorrono, e quindi anche laddove la parte abbia solamente eletto domiciliazione fisica, la domiciliazione digitale, pur non impedendo l'utilizzo della prima, per espressa volontà legislativa rimane sempre una possibilità esperibile, con tutte le conseguenze che la notifica eseguita presso tale recapito comporti alla parte destinataria.

In conclusione: le Sezioni Unite sui vizi procedimentali della notifica a mezzo PEC

In tema di notifica in via telematica, il raggiungimento dello scopo, vale a dire la produzione del risultato della conoscenza dell'atto notificato a mezzo di posta elettronica certificata, priva di significativo rilievo la presenza di meri vizi di natura procedimentale (come, ad esempio, l'estensione .doc in luogo del formato .pdf), ove l'erronea applicazione della regola processuale non abbia comportato, ovvero, non sia stata neppure prospettata nell'ambito del giudizio, una lesione del diritto di difesa, oppure altro pregiudizio per la decisione.

Il suddetto principio, inteso a privilegiare la funzione della notifica a mezzo PEC, riassume l'orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza a Sezioni Unite n. 7665 del 18 aprile 2016.

Nell'ambito di tale indirizzo si è, inoltre, affermato che la mancata indicazione nell'oggetto del messaggio di PEC della dizione ‘notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994' costituisce una mera irregolarità, essendo comunque raggiunto lo scopo della notifica, avendola il destinatario ricevuta ed avendo mostrato di averne ben compreso il contenuto.

Analoghe considerazioni sono state, più di recente, ribadite dalla sentenza a Sezioni Unite n. 23620, depositata in data 28 settembre 2018, con riguardo all'omessa indicazione del codice fiscale del mittente.

La Suprema Corte ha chiarito che tale principio di salvaguardia degli effetti della notifica si desume dall'art. 156, co. 3 cpc., e risulta recepito nella stessa legge n. 53 del 1994, che all'art. 11 prevede che la nullità delle notifiche telematiche incorre, solamente, qualora siano violate le relative norme contenute negli articoli precedenti “e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica”.

Ne consegue, quindi, che la notifica irrituale di un atto a mezzo posta elettronica certificata non possa comportarne la nullità ogniqualvolta la consegna dello stesso abbia comunque conseguito il risultato della sua conoscenza, e determinato così il raggiungimento dello scopo legale.

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