Dall'introduzione nel nostro ordinamento delle anzidette riforme digitali, si susseguono ormai a ritmo incalzante pronunce giurisprudenziali chiamate sia a risolvere problematiche di natura eminentemente pratica, seppur con inevitabili riflessi di natura processuale, sia a definire meglio la portata e l'estensione dei relativi adempimenti spettanti agli attori del processo.
Ad oggi l'interprete può quindi contare su una vasta e disparata casistica che affrontano le vicende patologiche delle notifiche a mezzo PEC ed il loro impatto sui procedimenti giudiziari.
Se l'indirizzo PEC del destinatario non è attivo
Con la sentenza n. 631 del 1° marzo 2022, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito la legittimità della procedura di notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del Decreto di fissazione dell'udienza prefallimentare previsto dall'art. 15, co. 3 L.F., convertito, con modificazioni, dalla L. 221/2012, a mente del quale quando, per qualsiasi ragione, la notifica all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal Registro delle Imprese, ovvero dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata delle imprese e dei professionisti, non risulti possibile o non dia esito positivo, “la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del Decreto si esegue esclusivamente di persona a norma dell'articolo 107, primo comma, del Decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229, presso la sede risultante dal registro delle imprese”.
Nel caso specifico, la creditrice istante aveva tentato di notificare gli atti in questione all'indirizzo PEC della fallenda, ma, stante l'esito non positivo, aveva provveduto a richiedere la notifica presso la sede legale della società, coincidente con l'indirizzo di uno Studio di Commercialisti e perfezionatasi in virtù del recapito del plico ad una loro impiegata, la quale, come specificato dalla relata, ne avrebbe curato la consegna.
Nel respingere le doglianze mosse dalla ricorrente fallita, gli Ermellini hanno precisato che la summenzionata disposizione costituisce norma speciale propria del procedimento prefallimentare, e condiviso la totale irrilevanza, già espressa dalla Corte distrettuale, del fatto che la sede legale della società fosse presso uno Studio di Commercialisti, che la circostanza fosse nota alla creditrice istante e che l'amministratore unico della società destinataria fosse invece reperibile alla sua residenza.
Se la casella PEC del destinatario è piena
Con la sentenza emessa in data 9 aprile 2022, l'Ottava Sezione della Commissione Tributaria Regionale di Bologna ha chiarito gli obblighi di comunicazione posti a carico dell'ente di riscossione dagli artt. 60, co. 6 D.P.R. 602/1973 e 26, co. 2 D.P.R. 600/1973, in tema di notifica di una cartella di pagamento a mezzo di posta elettronica certificata.
A fronte dell'eccezione d'inesistenza della notifica dell'atto impugnato, sollevata dal contribuente per averne avuta contezza solamente a seguito di consultazione del relativo estratto di ruolo, l'Amministrazione ha infatti rappresentato come tale cartella fosse stata inizialmente notificata telematicamente all'indirizzo risultante dal pubblico registro INI-PEC, ma, non essendo detto indirizzo risultato valido ed attivo, aveva quindi provveduto al deposito telematico della cartella presso la Camera di Commercio, e contestuale pubblicazione sul proprio sito internet, secondo quanto previsto dalle succitate disposizioni.
Il ricorrente ha quindi contestato come l'Agenzia Entrate - Riscossione avrebbe invece dovuto provvedere ad un secondo tentativo di consegna dopo almeno sette giorni dal primo invio, in conformità a quanto disposto dall'art. 60 cit.
Tale tesi non è stata però accolta dalla Commissione proprio sulla base del tenore letterale della norma in questione, essendo la rinotifica prevista solo ed esclusivamente “se la casella di posta elettronica risulta satura”, avendo cioè esaurito il proprio limite di capienza, e non anche in caso d'invalidità e/o inattività dell'indirizzo di consegna.
La ratio della disposizione, secondo l'Autorità giudicante, è da ricercarsi nella possibilità che, nell'arco di una settimana, una casella ormai ‘piena' di messaggi possa essere ripulita, e quindi nuovamente idonea e riceverne di nuovi, mentre sarebbe illogico aspettarsi che, nel medesimo frangente temporale, un indirizzo risultato inesistente possa essere validamente costituito ed attivato negli esatti termini originari.
In quest'ultimo caso, l'ente di riscossione non può essere gravato da un'ulteriore attività di rinotifica, bastando la comunicazione di avvenuto adempimento del deposito e della pubblicazione telematici a sollevarla da ogni incombenza al riguardo.
Se il messaggio o gli allegati della notifica sono illeggibili
Il vigente Codice di Procedura Civile prescrive, all'art. 88, che “le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità”, stabilendo quindi un vero e proprio obbligo di un comportamento processuale reciprocamente corretto.
Con la sentenza n. 15001 pubblicata in data 28 maggio 2021, la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha declinato il suddetto principio in materia di notifiche a mezzo posta elettronica certificata, laddove siano stati riscontrati vizi in grado di compromettere la leggibilità del messaggio o degli allegati ricevuti.
Nel caso di specie, la ricorrente aveva resistito all'eccezione di tardività del ricorso sostenendo che la notifica della sentenza di secondo grado fosse inidonea al decorso del termine breve d'impugnazione, non avendo raggiunto il suo scopo. A tal proposito, aveva infatti evidenziato come un file .pdf allegato al relativo messaggio di posta elettronica certificata conteneva solamente pagine bianche, mentre un altro presentava solamente puntini neri.
Gli Ermellini hanno dapprima ricordato come l'attestazione di conformità acquisita nel processo provi la sussistenza della ricevuta telematica di avvenuta consegna e, pertanto, il buon esito dell'avvenuta notifica a mezzo PEC. La concreta allegazione di una qualche disfunzionalità dei sistemi informatici che potrebbe giustificare migliori verifiche in merito rimane, pertanto, un onere probatorio a carico del destinatario, in conformità coi principi già operanti in tema notificazioni secondo i sistemi tradizionali.
Qualora la parte riceva, però, un messaggio PEC i cui allegati risultino in tutto o in parte illeggibili, spetta a costei, “in un'ottica collaborativa”, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all'utilizzo dello strumento telematico.
In buona sostanza, quindi, secondo tale pronuncia, il destinatario che contesti la regolarità di una notifica telematica è tenuto ad avvisare la controparte dei problemi di leggibilità eventualmente riscontrati.
Se l'atto da notificare non è firmato digitalmente
Dal suo concepimento in seno al processo civile, l'utilizzo degli strumenti telematici per le notifiche degli atti giuridici si è via via diffuso anche nel procedimento amministrativo tributario.
Ai sensi dell'art. 60 D.P.R. 600/1973, il loro impiego risulta infatti autorizzato per gli avvisi e gli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria ed ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato, ivi inclusi le cartelle di pagamento, in virtù dell'art. 26 D.P.R. 602/1973.
Negli anni scorsi alcune Commissioni Tributarie erano giunte a ritenere invalida la cartella notificata a mezzo PEC in un formato diverso dal .p7m, cioè prive di sottoscrizione digitale CAdES, che modifica l'estensione dell'originario file .pdf.
Con l'ordinanza n. 19216 dello scorso 15 giugno, la Suprema Corte di Cassazione ha invece esteso la validità di qualsivoglia notifica effettuata a mezzo posta elettronica certificata della cartella di pagamento rappresentata da un documento informatico ivi allegato, sia quale duplicato informatico di un atto originariamente ‘nativo' digitale, sia quale copia informatica ottenuta dalla scansione per immagine di un atto originariamente analogico, redatto in forma cartacea.
Con la medesima ordinanza è stato altresì annunciato il principio di diritto che tali documenti informatici non devono essere necessariamente muniti di firma digitale, purchè il procedimento notificatorio raggiunga lo scopo prefissato di conoscibilità dell'atto da parte del soggetto destinatario.
Il giudice di ultime cure ha infatti considerato che, in tutti i casi ove l'agente della riscossione provveda ad allegare al messaggio di posta elettronica il file in formato .pdf ottenuto dalla scansione di una cartella originariamente composta su carta, l'illegittimità della notifica è da escludersi "per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico".
Se la notifica riguarda la decisione disciplinare dell'avvocato
Con una sentenza resa a Sezioni Unite (n. 20685 delli 17.07.2018), la Corte Suprema di Cassazione è tornata ad occuparsi della validità delle comunicazioni inoltrate a mezzo PEC.
Il caso specifico riguardava un procedimento disciplinare forense, ove il ricorrente aveva contestato, fra il resto, che la notifica della decisione di primo grado non fosse avvenuta a mezzo di ufficiale giudiziario, ma bensì a mezzo PEC. Siccome non era stato seguito il procedimento testualmente previsto dalla normativa di settore dall'art. 46, co. 2 R.D. 37/1934, la parte aveva quindi sostenuto l'inesistenza o la nullità della notifica stessa.
La Suprema Corte è stata quindi chiamata a verificare se la comunicazione a mezzo PEC della decisione assunta da un Consiglio dell'Ordine costituisca un valido equipollente della notifica a mezzo ufficiale giudiziario, anche ai fini del termine perentorio dell'impugnazione dell'atto notificato. Una volta chiarito che tale modalità si può eseguire anche a mezzo posta, la quale è, a sua volta, da ritenersi equivalente alla ‘trasmissione del documento informatico per via telematica', la risposta data è stata, senz'altro, di segno positivo.
I giudici hanno infatti ritenuto che il progressivo sviluppo dell'intero contesto normativo debba interagire con l'originaria previsione normativa risalente al 1934, imponendone un'interpretazione evolutiva che consenta la piena equiparazione tra le forme di notifica tradizionali e quelle possibili in virtù non solo delle nuove tecnologie, ma soprattutto delle innovazioni normative che queste valorizzano, adeguando l'ordinamento al progresso tecnico e scientifico. In tale contesto, conclude la Suprema Corte sul punto, era legittimo che chiunque, benchè fosse rimasta ancora formalmente intatta la previsione originaria che privilegiava la notifica a mezzo ufficiale giudiziario per le esigenze di certezza e genuinità degli atti da rendere noti, in relazione alle sole garanzie conosciute erogabili al tempo dell'entrata in vigore della norma, potesse attendersi l'utilizzo delle alternative validamente formate alla stregua delle novelle legislative.
Se il destinatario della notifica ha eletto domicilio in luogo fisico
Nell'ordinamento processuale italiano è prevista la regola generale secondo cui la parte assistita da un difensore elegga domicilio in un luogo fisico, che usualmente coincide con lo Studio del professionista nominato, e, a seconda del tipo di procedimento, è circoscritta al Comune in cui ha sede l'ufficio giudiziario, o comunque entro il suo ambito territoriale di competenza.
Come è noto, l'indirizzo di posta elettronica certificata prescelto da ciascun Avvocato per ricevere le comunicazioni e le notifiche previste dalla Legge corrisponde invece al proprio domicilio digitale.
Recentemente la Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sui rapporti intercorrenti tra i suddetti domicili, con particolare riferimento alla notifica di una sentenza eseguita a mezzo PEC al domicilio digitale del difensore costituito, nonostante la parte destinataria avesse comunque eletto il domicilio fisico in capo all'Avvocato stesso.
Con Ordinanza n. 39970, depositata il 14 dicembre 2021, gli Ermellini hanno statuito che il regime normativo concernente l'identificazione del domicilio digitale non ha in alcun modo soppresso la prerogativa processuale della parte d'individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notifica degli atti del processo alla stessa destinati.
In buona sostanza, le due opzioni concorrono, e quindi anche laddove la parte abbia solamente eletto domiciliazione fisica, la domiciliazione digitale, pur non impedendo l'utilizzo della prima, per espressa volontà legislativa rimane sempre una possibilità esperibile, con tutte le conseguenze che la notifica eseguita presso tale recapito comporti alla parte destinataria.
In conclusione: le Sezioni Unite sui vizi procedimentali della notifica a mezzo PEC
In tema di notifica in via telematica, il raggiungimento dello scopo, vale a dire la produzione del risultato della conoscenza dell'atto notificato a mezzo di posta elettronica certificata, priva di significativo rilievo la presenza di meri vizi di natura procedimentale (come, ad esempio, l'estensione .doc in luogo del formato .pdf), ove l'erronea applicazione della regola processuale non abbia comportato, ovvero, non sia stata neppure prospettata nell'ambito del giudizio, una lesione del diritto di difesa, oppure altro pregiudizio per la decisione.
Il suddetto principio, inteso a privilegiare la funzione della notifica a mezzo PEC, riassume l'orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza a Sezioni Unite n. 7665 del 18 aprile 2016.
Nell'ambito di tale indirizzo si è, inoltre, affermato che la mancata indicazione nell'oggetto del messaggio di PEC della dizione ‘notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994' costituisce una mera irregolarità, essendo comunque raggiunto lo scopo della notifica, avendola il destinatario ricevuta ed avendo mostrato di averne ben compreso il contenuto.
Analoghe considerazioni sono state, più di recente, ribadite dalla sentenza a Sezioni Unite n. 23620, depositata in data 28 settembre 2018, con riguardo all'omessa indicazione del codice fiscale del mittente.
La Suprema Corte ha chiarito che tale principio di salvaguardia degli effetti della notifica si desume dall'art. 156, co. 3 cpc., e risulta recepito nella stessa legge n. 53 del 1994, che all'art. 11 prevede che la nullità delle notifiche telematiche incorre, solamente, qualora siano violate le relative norme contenute negli articoli precedenti “e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica”.
Ne consegue, quindi, che la notifica irrituale di un atto a mezzo posta elettronica certificata non possa comportarne la nullità ogniqualvolta la consegna dello stesso abbia comunque conseguito il risultato della sua conoscenza, e determinato così il raggiungimento dello scopo legale.