Con il termine rinunzie ci
si riferisce a quegli atti unilaterali recettizi con i quali i lavoratori
rinunciano ad alcuni dei loro diritti, mentre le transazioni sono quei
contratti con i quali i lavoratori ed i datori di lavoro pongono fine a una
lite attuale o ne prevengono una potenziale facendosi reciproche concessioni.
Il lavoratore è protetto
dalla legge qualora sottoscriva una rinunzia ai suoi diritti o una transazione.
Infatti, potrebbe subire sia il timore di ritorsioni da parte del datore, sia
non avere la piena conoscenza delle norme di legge e quindi la piena
consapevolezza dei propri diritti. La legge quindi intende tutelarlo con quanto
previsto dall'art. 2113 c.c.
Il legislatore ha infatti
stabilito che le rinunce e
transazioni in
materia di lavoro che hanno per oggetto diritti
derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o degli accordi
collettivi non sono valide, tranne nei casi in cui siano contenute nei verbali
di conciliazione da sottoscrivere:
- dinanzi alla commissione di conciliazione istituita presso la direzione territoriale del lavoro);
- dinanzi la commissione di conciliazione istituita in sede sindacale;
- in sede giudiziale;
- presso i collegi di conciliazione ed arbitrato irrituale.
In questi casi viene meno
l’esigenza di tutela del lavoratore, trattandosi di ipotesi in cui la posizione
del lavoratore è sufficientemente protetta nei confronti del datore di lavoro.
L’assistenza sindacale
deve però essere effettiva. I sindacati, cioè, devono avere un ruolo di
effettiva assistenza. L’intervento del terzo deve essere idoneo a sottrarre il
lavoratore dalla condizione di soggezione nei confronti del datore di lavoro.
La regola contenuta
nell'art. 2113 c.c. non prevede un'indisponibilità assoluta del diritto di
fonte inderogabile, quanto, piuttosto, un'indisponibilità relativa.
In tale norma, infatti,
si prevede che le rinunzie e le transazioni invalide devono essere impugnate
entro sei mesi, ciò a pena di decadenza. L’impugnazione deve avvenire entro sei mesi decorrenti dalla data di
cessazione del rapporto di lavoro, se l’atto di disposizione è avvenuto
nel corso del rapporto di lavoro, oppure dalla data in cui è stato firmato
l’atto, se quest’ultimo è intervenuto dopo la cessazione del rapporto di
lavoro.
Pertanto i diritti di
fonte inderogabile sono caratterizzati da una disponibilità condizionata alla
mancata impugnazione della rinuncia o della transazione.
La disciplina dettata
dall'art. 2113 c.c., poi, non trova applicazione con riferimento ai negozi
estintivi del rapporto di lavoro, come le dimissioni, le risoluzioni
contrattuali e le rinunce ad impugnare un licenziamento.
Quando il legislatore
sancisce l'invalidità delle rinunzie e delle transazioni aventi ad oggetto
diritti inderogabili di fonte legislativa o collettiva non qualifica di quale
tipo di invalidità si tratti. In dottrina, è però ormai pacifico che ci si
trovi di fronte ad un'ipotesi di annullabilità. In ragione di ciò, pur se dopo
che sia intervenuta nei termini l'impugnazione stragiudiziale, l'azione
giudiziale può essere proposta nel termine di prescrizione quinquennale.