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La legittimazione del Pubblico Ministero alla presentazione dell’istanza di fallimento

La legittimazione del Pubblico Ministero alla presentazione dell’istanza di fallimento
Autore: Avv. Matteo Conte

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26407 del 29.09.2021, ha previsto che, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, il Pubblico Ministero è legittimato a depositare l’istanza ai sensi art. 7, comma 1, L.F., non solo qualora apprenda la notitia decoctionis da un procedimento penale pendente, ma anche ogni qualvolta l’insolvenza emerga dalle condotte specificamente indicate dalla norma, la quale non presuppone come indefettibile la pendenza di un processo penale, cosicché esse possono emergere anche da un procedimento iscritto nel registro degli atti non costituenti notizie di reato (c.d. “Modello 45”).

La legittimazione del P.M. alla presentazione dell’istanza di fallimento è disciplinata dall’art. 7, comma 1, L.F., secondo cui il Pubblico Ministero presenta la richiesta 1) quando l'insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore; 2) quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

Dunque, le ipotesi in cui il Pubblico Ministero può presentare istanza di fallimento sono tipizzate e fondamentalmente ricollegate alle modalità attraverso le quali viene a conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Cassazione, la Corte d’Appello di Catania aveva respinto il reclamo ex art. 18 L.F. presentato avverso la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato il fallimento su iniziativa del P.M., sostenendo la sua piena legittimazione ad agire, nonostante questi avesse appreso la notizia dell'insolvenza nell'ambito di un fascicolo iscritto nel “registro degli atti non costituenti notizie di reato (Mod. 45)”.

La società dichiarata fallita proponeva dunque ricorso per Cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 7 L.F. e 24 Cost. in ordine alle c.d. “condizioni dell’azione”, poiché l’istanza di fallimento presentata dal P.M. non era fondata su un procedimento penale effettivamente instaurato attraverso la formulazione dell’imputazione.

Sul punto, la Suprema Corte ha offerto un’interpretazione estensiva dell’art. 7 L.F., ritenendo che, una volta venuto meno il potere del Tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, il Pubblico Ministero è legittimato a presentare la richiesta ogniqualvolta abbia “istituzionalmente appreso la notitia decoctionis”. Di conseguenza, il riferimento contenuto nell’art. 7 L.F., relativo al riscontro della notizia dell’insolvenza "nel corso di un procedimento penale", non deve essere interpretato in senso riduttivo, come prospettato nel motivo di ricorso, non essendo assolutamente necessaria la preventiva iscrizione di una notitia criminis a carico del fallendo o di terzi.

La Cassazione ha inoltre aggiunto che, ai fini della regolare instaurazione del procedimento prefallimentare introdotto ad iniziativa del Pubblico Ministero, l’eventuale esito favorevole per l’imputato del procedimento penale (nel corso del quale il P.M. ha ravvisato la notitia decoctionis) è del tutto irrilevante.

In conclusione, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla società fallita, affermando il principio di diritto enunciato in premessa. La sentenza in commento si pone peraltro in linea con il nuovo art. 38, comma 1, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, che ha esteso le ipotesi di legittimazione attiva del Pubblico Ministero, prevedendo la possibilità di presentare il ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale “in ogni caso in cui ha notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza”.
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